“Metamorfosi/Repurpose”

di Thomas Giustini
Dentro una galleria, il tutto è incapsulato, fermo in un tempo e luogo sconosciuto in una città senza nome. In questo luogo, tutto può accadere, la luce oltrepassa le finestre e si posa sul pavimento come del vento di passaggio, proveniente da un'altra terra. Ciò che è fermo inizia a muoversi. Spera che qualcosa di più possa accadere. D’un tratto, in quella polvere, in quel cristallo, si trova dinanzi un suono di spenta statura, d’andamento controllato che si muove nell’aria a ritmi di respiro. Come del velluto che vien toccato, il suono posa le proprie dita sulle figure inanimate che son li, quelle figure ricoperte, iniziano a reagire agli stimoli trasmessi e si instaura un rapporto. Dell’armonia di cui vengono riempite, le figure aprono le braccia in segno di accompagnamento a favore del nuovo arrivato. Se nelle sinapsi, il contatto determina l’effetto, tra le onde e la figura, l’effetto è determinante dal contatto. Le figure sono già effetto e fin dall’inizio dei tempi da quando stavano lì, continuano ad animare silenziosamente. Però quella volta qualcosa successe, qualcosa fece scomparire il ripetersi continuo e l’attesa paziente e pian piano, come una lenta scrittura d'un antica pergamena, la penna che tocca il calamaio, l’inchiostro inizia a tingersi d’altro colore, le figure accelerano e accelerano di quella andatura, come tasti del pianoforte vengono premuti sempre con più sostanza e leggerezza. Della miscela di cui sono fatti, l’aggiunta di un altro ingrediente li può rendere più ricchi e sostanziosi. Le figure maturano, il tempo si dissolve, il suono aumenta, il respiro d’affanno subentra. Di ciò che era prima, non c’è più minima traccia. La luce sa di terra e sembra macchiata, quel suono volatile è sempre più presente, sembra come se fosse una lingua parlata, le pareti iniziano a cambiare, diventano sempre più dure, di stento si intravede una o due colonne, spesso si muove tutto ciò che è attorno. Le figure alcune volte cambiano direzione, la spinta del vento le porta a muoversi sempre più veloci. Passa il tempo e tutto aumenta, aumenta come l’arco di un violino sulle corde con l’avvicinarsi della nota successiva, come un ghepardo nelle foreste dell’Africa, come un coltello che trapassa il cuore, tutto è più acuto e della galleria non ce né più traccia, ma si sente la presenza. Le figure sono ancora presenti ma non sono più come una volta, fanno parte di un’altra esistenza ed ora si scontrano con l’oblio. Andranno sempre incontro a qualcosa, ma devono scendere in profondità per poi risalire in superficie…